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intervista

ManiInPasta #1 Luciano De Franceschi, magazziniere del Padova (Alberto Facchinetti)

Buonasera signor De Franceschi, la posso disturbare?
“Che ore sono, le 19 e 30? Sì, certo, sto aspettando che finisca una lavatrice, ho ancora un po’ di tempo…”
A che numero siamo arrivati oggi?
“Ho perso il conto, ma credo siamo a 12-13 lavaggi. Poi devo sistemare un paio di sciocchezze e tra un’ora conto di tornare a casa. Sono qui dalle 7”.
Luciano De Franceschi ha 67 anni e al Padova per tutti è Ciano perché se i genitori ti hanno battezzato così e fai il magazziniere in Veneto non puoi che essere conosciuto con questo diminutivo. Ciano fa questo lavoro dal 1990. Ventisei anni di fedeltà al Calcio Padova, ha conosciuto la B, la serie A, di nuovo la discesa, recentemente pure la serie D. Ha lavato maglie e calzoncini per generazioni di ragazzini, tanti diventati professionisti, la maggior parte no.

Ma che mestiere è quello del magazziniere?
“È un lavoro che deve piacere, non è come tutti gli altri. Qui non ci sono orari, non ci sono giorni di riposo. Lo devi fare con passione e amare il tuo club. Sennò è meglio non farlo”

Il suo “ufficio” dov’è?
“Al Padova siamo in due (l’altro è Oriano Zorzi), io sono allo Stadio Appiani. Lavo le maglie a 30 formazioni delle giovanili e quelle di allenamento della prima squadra. Qui siamo attrezzati con una lavatrice industriale e un’asciugatrice. Poi ovviamente c’è da pulire gli spogliatoi e altre mille piccole cose”.

Che rapporto ha con le maglie? 
“Dal 1994 a oggi ho sempre attaccato io i numeri (e i nomi dipende dalla categoria) sulle maglie della prima squadra. No, a casa non ne conservo alcuna, non sono un collezionista: ne ho viste talmente tante…”

Quali sono gli altri compiti di un magazziniere che non sono messi nel contratto di lavoro? 
“Bisogna saper scherzare con i ragazzi quando è ora e stare seri quando invece non è aria. La squadra va avanti con tutti, nei limiti tutti sono importanti. Certe battute che si fanno, oppure certi silenzi mentre si ascolta un ragazzo, servono a fare gruppo. Secondo me un magazziniere deve saper fare anche questo”.

Giovanili e prima squadra, per un magazziniere fa qualche differenza? 
“Nel rapporto umano ovviamente sì, interagire con un bambino di 8 anni o con il capitano della prima squadra che magari ne ha 37 non può essere la stessa cosa. Per il resto la cura con cui faccio il mio lavoro è la medesima, non potrebbe essere altrimenti”

A quale squadra è rimasto più legato? 
“Il gruppo della serie A del ’94 era molto affiatato. Galderisi, Cuicchi Longhi, Pellizzaro, Montrone, Coppola e tutti gli altri… erano amici tra di loro e io ci sono rimasto molto affezionato. Capita di fare qualche rimpatriata, ed è sempre bellissimo e emozionante. Damiano (Longhi) viene ancora al campo a trovarmi, Montrone ha il bambino che gioca qui”.

C’era anche Lalas. 
“Ah Ah. Buonissimo rapporto anche con lui. Viveva il calcio all’americana, come un diversivo. Mai visto stressato. Simpaticissimo, molto alla mano. Passava sempre da me, come del resto passavano gli altri a fare due chiacchiere. Sa come mi chiamavano quei ragazzi? Presidente. Presidente, di qua. Presidente, di là”.

Ha visto anche Del Piero.
“Beh, certo. Ragazzo schivo, di poche parole. Sempre stato così”

Di Livio. 
“Angelo è un grande. Un vero amico. Veniva pure a mangiare a casa mia. Che abbraccio quando recentemente è passato per Padova a vedere la Nazionale Under 19”.

“Quelli di oggi con cui si sente più vicino?”
“Neto Pereira è solo alla seconda stagione, ma è uno di quei brasiliani con cui è impossibile non legare”.

Ora la lascio tornare a casa, per caso deve fare la lavatrice anche in famiglia? 
“Ah Ah, non so nemmeno come si usa! A casa ci pensa mia moglie”

E la signora non si lamenta? 
“È abituata. L’ho messo in chiaro sin dal primo giorno. Ci siamo sposati nel 1975, era un sabato. Alla domenica sono andato – io la partita la devo vedere – a seguire il Padova contro il Venezia”.
Beh, se era un derby…

 

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Redazione

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