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ARGENTINA (DA RIFARE) DOMANI ALL’ULTIMA CHIAMATA: SOLTANTO MESSI PUO’ SALVARLA (MA NON VINCE DA SOLO COME MARADONA)

Non può esistere un appassionato di calcio che si auguri sinceramente l’eliminazione precoce dell’Argentina dal Mondiale. Per la considerazione semplicissima che nessun Paese ha prodotto lo stesso numero di fantasisti ed attaccanti di altissimo livello, con in più un segno inconfondibile: la voglia innata non solo di stupire il pubblico, ma anche di irridere gli avversari, con finte, controfinte, tocchi preziosi, colpi ad effetto, insomma di dare spettacolo per lo spettacolo, in una sorta di sfida con il mondo e in fondo con la vita, come ha spiegato nei suoi racconti lo scrittore Osvaldo Soriano, a sua volta ex giocatore. Per questo, quando nel 1978, quarant’anni fa, l’Argentina conquistò il primo dei due titoli mondiali, Gianni Brera esultò con tutto il cuore. Non voleva certo compiacere il regime di Videla che tentò di impossessarsi del trionfo per nascondere la tragedia dei desaparecidos. Gli sembrò, e lo scrisse chiaro sul Giorno, che la storia del calcio avesse finalmente colmato una lacuna gravissima: l’Albiceleste mai campione fino a quel momento, pur avendo sfornato in ogni epoca fuoriclasse immortali come Pedernera e Di Stefano.
Se i brasiliani sono stati sempre ammirati per il magistero tecnico – basterebbe Pelè, ma l’elenco di fenomeni è lunghissimo, da Rivelino a Ronaldo, da Clodoaldo a Ronaldinho, e così via – e gli europei per le virtù agonistiche e la preparazione tattica, agli argentini è stata riconosciuta la capacità di inventare il football affidandosi al talento puro. Tra gli esempi che illustrano questa straordinarietà ci sono ovviamente Maradona e Sivori. Messi è il loro successore, con la differenza che ha dovuto e saputo piegarsi benissimo anche alle esigenze del calcio attuale che pretende da tutti, anche dai più forti, la dedizione assoluta, l’adesione totale alla partita in tutte le sue fasi.
Ma il Messi di questo Mondiale appare mesto, infelice, piegato sui guai di una squadra che ha portato in Russia con i suoi guizzi. Già allora, nelle qualificazioni, erano apparsi chiari i limiti della nazionale. Se possibile, Sampaoli con le sue scelte strampalate ha addirittura peggiorato la situazione. Cosicchè domani per l’Argentina è l’ultima chiamata: soltanto una vittoria contro la Nigeria eviterà un colossale “fracaso”, il fallimento della spedizione. Non sono ottimista, non credo che in poche ore, dopo la disfatta di fronte alla Croazia, sia possibile ricostruire il gruppo e soprattutto dotarlo di un’organizzazione decente. E’ tutto da rifare, in campo e fuori.
Tuttavia, come sostiene Soriano, “il calcio ha le sue ragioni misteriose che la ragione non conosce”, figurarsi quando di mezzo c’è ancora Messi. Il quale ha tuttavia un rispetto dei compagni e degli avversari che non avevano Maradona, né Sivori. Individualisti impeninenti, vivevano la partita come una questione personale. E si spingevano sempre oltre, tra dribbling, tunnel, proteste, gomitate, colpi di tacco e colpi di mano. E traiettorie impensabili, disegnate con il piede sinistro.
Messi è più moderno, più altruista – eppure arriva al gol di solito con grande facilità – avrebbe forse bisogno all’interno dell’Afa, la federcalcio di Buenos Aires, di uomini di calcio in grado di sostenerlo in momenti come questo. Gente di calcio, che in Italia possiamo immaginare come Riva, come Zoff e pochi altri, che sappiano stare vicini al campione con discrezione e serenità, senza bombardarlo di slogan inutili e soprattutto senza mettergli sulle spalle la responsabilità del risultato. In molti pensano che, in caso di sconfitta, possa essere l’ultima presenza di Messi in nazionale, dopo l’addio non addio di un anno fa. Chi vuol bene a questo sport, deve sperare che l’Argentina vada avanti, per rivedere Messi ed anche perché la storia insegna che il Mondiale si può perdere in tre sole partite. Ma di sicuro non si vince in tre sole partite.

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Enzo D'Orsi

Enzo D'Orsi

classe 1953, ha seguito la Juventus per 21 stagioni per il Corriere dello Sport. Dal 1979 al 2000. Quattro Mondiali e cinque Europei da inviato. Più di 250 partite di coppe europee. Migliaia tra tutti i campionati. Ha lavorato anche a Paese Sera e Leggo, oltre ad una parentesi al settimanale Rigore. Simpatizza per il Manchester United dai tempi di Bobby Charlton, il suo primo idolo. Adora il calcio inglese, l'Umbria e Parigi. Sposato. Tre figli. Quattro nipoti. Si considera fortunatissimo: fin da bambino, voleva fare soltanto il giornalista.

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