Con il gol rifilato al Marocco, Cristiano Ronaldo ha già superato il totale dei Mondiali precedenti: quattro a tre. In lui, ho rivisto l’irresistibile Michel Platini dell’Europeo 1984. In quella occasione, Platini – arrivato sull’onda di una stagione trionfale: lo scudetto, la coppa delle Coppe, il titolo di capocannoniere della serie A – si superò. Nove gol in cinque partite. Gol decisivi: il primo contro la Danimarca di Elkjaer (1-0), tre contro il Belgio (5-0), tre contro la Jugoslavia (3-1), uno al 119′ contro il Portogallo in una delle semifinali più drammatiche (3-2) e l’ultimo contro la Spagna in finale con la complicità del portiere Arconada (2-0). Gol realizzati con fredda eleganza: di destro, di sinistro, di testa, da lontano, in mischia, su punizione. Tutto il repertorio di un grandissimo attaccante, lui che prima di tutto un meneur de jeu, che per i francesi è il rifinitore, il regista del gioco d’attacco. Per la varietà dei colpi, che esibisce con tutta la sua forza muscolare, il Ronaldo di questo Mondiale rimanda a quel Platini: rigore, sinistro, punizione, testa. “Il segreto per dare il massimo con la nazionale nella fase finale di una competizione è arrivare in forma. Se fossi stato nelle stesse condizioni dell’84 due anni prima o due dopo, avrei vinto il Mondiale”, ha detto e ripetuto negli anni Platini.
In effetti, il Portogallo non suscita entusiasmo, ma è diventato una macchina da risultato con i gol del suo capitano. L’impressione è che Ronaldo possa trascinarlo oltre i propri limiti, anche contro rivali più attrezzate. La mia favorita, dopo aver visto tutte le partecipanti, resta la Spagna: non ha Ronaldo, ma tre fantasisti di altissimo livello come Iniesta, Isco e David Silva, al servizio di un centravanti collaudato, Diego Costa. Ma quando Ronaldo insegue un traguardo (e che traguardo!) con questa determinazione, persino la qualità della manovra spagnola rischiavi di essere insufficiente.
Enzo D'Orsi
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