Prefazione al libro “Dimmi chi era Recoba”
Nella mia carriera ho avuto modo di affrontare e avere compagni di squadra tanti campioni e ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa. La maggior parte si è fatta apprezzare dal grande pubblico soprattutto per le proprie gesta tecniche, per la capacità di riproporle in continuità, per i risultati sportivi che hanno fatto raggiungere al proprio club di appartenenza, in ambito nazionale e internazionale. Quando mi è stato chiesto di scrivere questa prefazione al bel libro di Enzo Palladini sul Chino Recoba, non ho accettato perché in realtà avessi condiviso con lui un tempo così lungo da poter dare un contributo in termini di aneddotica sull’uomo e sul calciatore.
La mia militanza nell’Inter – durata cinque anni – terminò infatti pochi mesi dopo il suo arrivo. Ho accettato perché Recoba mi ha sempre portato a meditare sulla professione e sul destino che in fin dei conti governa la vita di ognuno di noi. Tanto per cominciare si riflette sempre troppo poco sulle grandi differenze che esistono nel mestiere di attaccante di oggi e di ieri. Non voglio fare riferimento solo alle regole del gioco e a quanto oggi le punte siano tutelate dal regolamento, ma anche al tipo di contrasti che connaturavano il calcio fino a qualche anno fa. In questo senso il Chino era un maestro. Aveva tecnica, rapidità di esecuzione, forza fisica e anche una grande capacità di resistere ai tackle più determinati: con quel suo baricentro basso e le gambe forti era in grado di “sterzare” in un fazzoletto e di coordinarsi per il tiro in una frazione di secondo. Da buon uruguagio non si lamentava per i falli per quanto duri. Non aveva però la stessa passione e tenacia per la parte atletica e la corsa. Fin dai primi allenamenti a Sarre era evidente che tattica e corsa non fossero proprio digerite nel migliore dei modi dal Chino. Quando però si trattava di dover toccare il pallone la musica cambiava: con la palla tra i piedi era in grado di fare qualunque cosa.
Quante volte ho riflettuto sul suo straordinario talento: nella ripartizione dei doni, ognuno di noi ne riceve solo alcuni ed è dunque legittimo essere solo se stessi, cercando così la propria natura e la propria felicità. Forse, oggi, un calciatore con la sua predisposizione atletica non riuscirebbe più a raggiungere determinati livelli professionali. Il calcio attuale tende più a selezionare grandi mezzofondisti piuttosto che a mettere al centro le capacità dei giovani calciatori con i piedi, sia per quanto riguarda il dribbling che per quanto riguarda le capacità balistiche. E quando il Chino calciava si poteva solo stare a guardare. Anzi, appena andava ad aggiustare la palla sul terreno si poteva iniziare a sognare, a provare a immaginare dove l’avrebbe potuta mettere. Certo i risultati sono importanti, determinanti, ma non è forse il sogno una delle anime del calcio? Da ragazzini sogniamo di emulare i grandi campioni e da grandi immaginiamo che grazie a loro la nostra squadra del cuore giunga al successo, magari grazie a dei gol incredibili o impossibili. Il Chino era un giocatore che accompagnava i desideri di grandi e piccini e alcune volte li realizzava anche.
31 agosto 1997, prima giornata di campionato. L’atmosfera che si respira in uno spogliatoio alla prima di campionato è davvero difficile da spiegare: tutta la tensione accumulata nel periodo di preparazione svanisce e improvvisamente lascia spazio all’euforia e alla voglia di scendere in campo e di cominciare la stagione. Il Chino sembrava però abbastanza immune alla contagiosa aria dello spogliatoio, forse perché pensava di poter partire titolare. Il suo atteggiamento, così disinteressato a quanto accadesse attorno, faceva pensare che non fosse pronto per giocare una partita a San Siro: niente di più sbagliato. Quel giorno ero in panchina, per cui potei osservare con attenzione la sua fase di riscaldamento. Quando Simoni decise di farlo entrare, mentre il risultato era ancora sullo zero a zero, continuavo a pensare che, con la voglia e l’intensità che ci stava mettendo, difficilmente sarebbe stato d’aiuto alla squadra. Allora non c’erano secondi allenatori con fogli, foglietti o tablet a spiegare le varie situazioni di gioco e la posizione da tenere in campo: due parole di incoraggiamento da parte di Simoni, un cenno d’intesa con la testa di Recoba e la prima volta alla Scala del calcio poteva avere inizio. La fortuna arriva quando l’opportunità incontra la preparazione. Tanti anni di sacrifici e di rinunce, tutta la passione e l’amore per questo sport in un unico momento possono essere ripagati. Quei due gol meravigliosi per precisione, tecnica e potenza sono rimasti nella memoria di tutti i tifosi nerazzurri, continuando a far immaginare che fossero replicabili. La storia ci ha poi insegnato che il livello di difficoltà di quei due tiri fosse talmente elevato che sarebbe stato difficile ripetersi. Ma il Chino ci riuscì altre volte, sia in Italia che al ritorno in patria, alimentando la passione dei tifosi per questo sport.
Ricordo un giorno che Fabrizio, amico interista, mi inviò un video tratto da Youtube. Era sempre lui, il Chino, che aveva deciso, al quinto minuto di recupero, con una magistrale punizione, il derby del suo Nacional contro il Penarol. Una traiettoria che sembrava tele comandata. Per certi versi potrei dire che Recoba ha anticipato la PlayStation, realizzando sul campo “colpi” che immaginavamo possibili solo grazie alla tecnologia. Il libro di Enzo è una prospettiva diversa nei confronti di un giocatore che non è stato un campione ma che avrebbe avuto tutte le caratteristiche per poterlo diventare. Quando tifosi e appassionati mi chiedono di lui, del Chino, del magico ambasciatore di chi ama sognare grazie al calcio, li invito sempre ad andare a riguardare qualche video delle sue giocate! Buona lettura a tutti.
Massimo Paganin
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Redazione
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