Durante la prima esperienza sulla panchina della Roma, Vincenzo Montella venne soprannominato “Montiola”, perfetta crasi tra Montella e Guardiola. Qualcuno in questo modo voleva sottolineare le analogie tra i due tecnici, provenienti dai settori giovanili di Roma e Barcellona ma anche amanti del possesso palla estremizzato. Poi Montella è stato frettolosamente messo da parte (per essere poi rimpianto) e con un’umiltà che non fa mai male è ripartito dalla gavetta, raccogliendo giudizi positivi quando gestiva il Catania e anche la Fiorentina. Alla Samp ha pagato una contraddizione di fondo: si è trovato a gestire una squadra costruita per il pragmatismo di Walter Zenga e poi ingarbugliata da Cassano, l’esatto opposto delle sue caratteristiche. Al Milan è arrivato con un compromesso tra il vecchio e il nuovo club, tra chi voleva una certa figura e chi ne sognava una totalmente diversa. Si è messo d’impegno e ha scoperto di avere in mano una materia prima sottovalutata, soprattutto a livello di giovani provenienti dal vivaio. Così Montella ha riportato il Milan in una posizione da Milan e praticando un gioco da Milan, ha dato un tocco di verticalità al suo gioco (così come in un certo senso ultimamente sta facendo Guardiola) e ha conquistato consensi unanimi. Adesso, a distanza di tempo, i risultati e il gioco del Milan ci raccontano che forse quel soprannome “Montiola” non era proprio usurpato.
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PallaInTribuna #9 E ora lo (ri)chiameremo Montiola (Enzo Palladini)
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Nato a Milano nel 1965, lavora dal 2002 a Premium Sport (ex Sport Mediaset) dopo tredici anni al Corriere dello Sport-Stadio. Numerose le sue pubblicazioni, tra le quali, nel 2010, il libro “Paura del buio – Biografia non autorizzata di Ronaldo”. Nel 2015 ha pubblicato per Edizioni inContropiede “Scusa se lo chiamo futebòl”, incredibili storie e ritratti di campioni brasiliani poco conosciuti. Sempre con questa casa editrice ha pubblicato nel 2016 “L’anno delle volpi”.