Uno così non può avere sessant’anni. Per definizione, Paolo Rossi sarà sempre Pablito, sarà sempre il ragazzo di venticinque anni capace di far piangere il Brasile e far sognare l’Italia. L’anagrafe è un dettaglio trascurabile, per lui il tempo si è fermato l’11 luglio del 1982, quando l’Italia ha sollevato la sua terza Coppa del Mondo. Le manone di Zoff alzarono quella Coppa ma il piedino di Paolo Rossi fu il principale responsabile di quel delirio collettivo che travolse l’Italia in un’estate incredibile e forse irripetibile.
Amato ovunque, quasi venerato. Ovunque tranne che in Brasile, per quei tre gol che fecero piangere un Paese. Eppure nella sua carriera c’è parecchia Juve, un’etichetta che normalmente attrae sguardi di traverso e diffidenze. Uno che ha nel curriculum Spagna ’82 però non è identificato come juventino. E’ patrimonio dell’umanità calcistica italiana, è un marchio da dire tutto in un fiato, Paolorossi tutto attaccato, come gigiriva, come valentinorossi. Un’icona appesa anche nell’ufficio del presidente più amato nella storia della Repubblica Italiana, Sandro Pertini.
Da “Pablito 60”, in onda su Premium Sport

Enzo Palladini
