Qualche “numero” della coppia Insigne-Immobile mi ha riportato al messaggio che chiude il mio libro in uscita (“Il calciatore stanco”, presso l’editore InContropiede): la fiducia che “il gioco più bello del mondo” possa sopravvivere a drammi, imbrogli e brutture, rigenerandosi ogni volta grazie al talento innato (e alla felicità di esibirlo) di alcuni suoi cultori toccati dalla Grazia. Dopo Meazza e Piola, che non ho visto giocare, così come ho soltanto percepito il mito di Valentino Mazzola, del grande Torino e della Honved di Puskas, e sono stato sfiorato dalla tristezza di Alfredo Di Stefano, forse il più grande (“Questa sera è finito il calcio”, disse dopo la sconfitta del suo Real Madrid sotto le stilettate del contropiede herreriano), posso ricordare Rivera e Schiaffino, Sandro Mazzola e Corso, Sivori e Luisito Suarez, Pelè, Eusebio e Maradona, Platini e Beckenbauer, Cruyff e tanti altri.
Mi coglie un po’ di nostalgia. Di quando Sivori, ormai allenatore dell’Argentina, ebbe a dirmi: “Certo, il Brasile ha un grande calcio, ma quali altre Nazioni possono vantare campioni come Di Stefano e me?”. Di quando Benito Lorenzi mise un mezzo limone sotto il pallone del rigore che gli avversari stavano per battere. Di quando avvertìi al telefono l’entusiasmo di Claudio Gentile alla mia richiesta di schierarsi con la Gazzetta per “annullare” l’amico Platini che doveva giocare per “L’Equipe”. Di quando Burgnich, suo predecessore in azzurro, volle precisare di essere friulano e non veneto, “perché i veneti parlano, i friulani faticano”. Auguri a Gentile che allenerà il Sion (perché gli tolsero l’Under 21?) e a Zanetti, che sarà vicepresidente dell’Inter. Uomini veri, come tutti quelli che conquistano la gloria.
Gino Franchetti
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