“Spero – mamma mia che sogno sarebbe – di ritornare a lavorare al Filadelfia”. Non avrà mica paura di andare in pensione proprio il giorno prima? “Da qualche settimana ho ottant’anni e la pensione l’ho guadagnata da tempo ma facendo l’operaio alla Marelli, io al Toro sono un magazziniere volontario dal 1957. Questo non è mai stato il mio lavoro vero”. Ormai non dovrebbe mancare poi tanto, un’ultima stagione gloriosa al Fila e poi si godrà la vecchiaia sul divano di casa? “No no, finché qualcuno non me lo dice, io non smetto. È la mia vita”.
La storia di Antonio Vigato, quasi 60 anni tra spogliatoio e magazzino, è anche una saga familiare. Se non fosse per il fratello Brunetto (vero nome: Valentino), di tre anni più giovane, non avrebbe mai avuto questo lavoro non-lavoro.
“Dopo la guerra ci trasferimmo da Lozzo Atestino, in provincia di Padova, a Torino. C’era tanta fame, con mio fratello eravamo disposti a tutto pur di portare a casa qualcosa da mangiare. Venimmo a sapere che il magazziniere del Torino Zoso cercava dei ragazzi per spalare la neve dal Filadelfia. La manodopera serviva durante la settimana o la notte prima della partita. Era molto faticoso, si caricavano interi carri di neve che poi venivano trainati dai cavalli fuori dal campo”.
Dal campo innevato al magazzino
“Mentre io entravo in fabbrica, mio fratello trovò lavoro in una falegnameria. Quando poi al magazzino del Torino cercavano un ragazzo, Brunetto si offrì e ottenne il posto. Io dopo il turno in fabbrica, andavo a dare una mano a mio fratello al campo. Lui è andato in pensione dopo 38 anni, io continuo ad andarci da volontario”.
Tutti i giorni?
“Tutti i giorni per quattro-cinque ore. Mi dedico solo alla prima squadra. Tre sono i magazzinieri ufficiali, poi ci sono io che rimango in spogliatoio con i giocatori e vado in magazzino quando loro mi chiedono una cosa. Faccio avanti e indietro. Alla domenica sono in campo, da quest’anno solo per le partite casalinghe ma fino alla stagione scorsa andavo anche in trasferta”.
Come si trova al centro sportivo Sisport?
“Bene, un bel posto tranquillo. Ma il Filadelfia… sono passato l’altro giorno, beh quando entrerò sarà un’emozione unica. Il Toro ha bisogno di una casa, dall’altra parte della città ne avrebbero già 20 di Filadelfia ma non sarebbe mai come il nostro Filadalfia”.
Il Toro è qualcosa di speciale?
“Per me è una famiglia, la prima che ho trovato in città tanti e tanti anni fa. Il Toro è il Toro, credo sia una specie di fede. È qualcosa di diverso”.
Anche per la sua storia, Superga e Meroni.
“Io ci andavo spesso nella soffitta di Meroni, dove viveva con Cristiana. Mi chiamava per dargli mano, aveva sempre bisogno di spostare questa cosa qui e quell’altra là. Era bravo come il sole, Gigi. Mi scusi, ma mi viene il magone a parlare di Gigi…
A Superga morirono in tanti, nel ’67 uno solo. Ma la tragedia è uguale”.
È cambiato tanto il ruolo del magazziniere nel corso del tempo.
“Beh, sì oggi i bauli pesano quintali. Gli scarpini sono cambiati, una volta erano di cuoio e ogni giorno li ingrassavamo e sistemavamo i tacchetti di alluminio (ora tutti, quasi tutti, ce li hanno di gomma e sono fissi). Anche i ragazzi avevano meno manie. Ma sono bravi anche quelli di oggi”.
Faccia qualche nome.
“Noi abbiamo tutti ragazzi straordinari. Mi piace nominare Belotti, un centravanti che ha tutto. Sarà titolare fisso in Nazionale. Un altro con cui avevo un rapporto splendido era Rolando Bianchi. Un ragazzo di un’umanità… Cinque anni qui da noi e ogni giorno si fermava a firmare autografi ai bambini”.
Maglie a casa ne ha?
Certo, quelle a cui sono più affezionato sono quelle del 1976. Sì, ho anche quella di Pulici. Oggi spero in Boye, l’argentino ha la stazza fisica e certi modi proprio di Puppi. Deve imparare ancora alcune cosette, ma verrà fuori.
Redazione
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