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Inchiesta #1 La deromanizzazione della Roma (Pier Francesco Pompei)

Quando gli americani divennero azionisti di maggioranza dell’ Associazione Sportiva Roma, un’ondata di entusiasmo travolse la tifoseria giallorossa, che secondo alcune stime rappresenterebbe circa l’ottanta per cento degli appassionati di calcio della Capitale. Stati Uniti hanno sempre voluto dire dollari, che anche in un regime di euro, sono pur sempre sinonimo di ricchezza. Si cominciò a sognare il nuovo stadio, dove avrebbero giocato i grandi giocatori che la nuova proprietà si sarebbe procurata. Poi, quando dopo alcuni personaggi di contorno, comparve sulla scena James Pallotta, si identificò in lui il “padrone del vapore”.
La faccia era simpatica e il fatto che fosse  coproprietario di una famosa squadra di basket americano, lo connotava uomo di sport. Infine, particolare banale ma accattivante, aveva in comune il cognome con una storica pizzeria di Ponte Milvio, frequentatissima dai tifosi per la sua vicinanza allo Stadio Olimpico.

Già, lo stadio. Il nuovo stadio. L’argomento venne affrontato molto presto, identificando di massima la zona dove sarebbe sorto e mostrando un progetto di un certo fascino. Unico neo, la necessaria serie di incontri con il sindaco Marino, personaggio non eccessivamente amato, in particolare dai tifosi giallorossi, scaramantici come tutti i tifosi. Nei loro ricordi, anzi: nei loro incubi, ricorreva il giro di campo di un altro sindaco per raccogliere applausi prima dell’inizio di una partita che avrebbe potuto assegnare il terzo scudetto alla squadra della Capitale. Così non fu. Quella partita era Roma –Lecce e la sconfitta per 2 a 3 dei Giallorossi, rinviò di  quindici anni quel traguardo.
Comunque, le premesse della cordata americana non erano male e le promesse ancora migliori. Non i risultati, però. Un sesto posto il primo anno, un settimo il secondo, ancora un sesto il terzo, ma con una conclusione di stagione  che rischiò di far ripiombare la squadra nella “Dimensione Rometta”. Era successo che la finale di Coppa Italia di quell’anno era Roma – Lazio, un derby che avrebbe potuto far conquistare ai giallorossi la famosa Stella delle dieci vittorie nel torneo. Vinse la Lazio per 1 a 0 e tutto l’ambiente romanista precipitò nella disperazione. Durante quel periodo della nuova proprietà, si era assistito ad un balletto di allenatori, partito da Ranieri, proseguito con Montella, poi Luis Enrique, quindi il ritorno di Zeman, sostituito alla 24esima giornata da Andreazzoli che, ahilui, sarebbe passato alla storia per quella maledetta finale. Tutto sembrava perduto. Anche perché in panchina fu chiamato un carneade francese, Rudi Garcia, che non sembrava in grado di risollevare il morale della spenta tifoseria romanista. E invece avvenne un miracolo. Nelle prime dieci giornate del campionato 2013–14 la Roma vinse tutte le partite, suscitando nell’ambiente un entusiasmo che solo cinque mesi prima sembrava un sogno. Al termine del campionato, con il secondo posto, la Roma conquistò il ritorno in Champions League, traguardo che bissò anche nella stagione successiva. Poi, le cose tornarono come prima.

A metà stagione anche Garcia ebbe il benservito e quasi a furor di popolo sulla panchina della Roma tornò Spalletti, che molto bene aveva fatto con la precedente proprietà, quella della famiglia Sensi. E molto bene riprese a fare, rivitalizzando la squadra che riuscì a concludere il campionato al terzo posto con l’accesso ai preliminari di Champions.
Tutto bene? Non proprio. Nel corso dell’ ultima parte della stagione, era scoppiata la grana Totti. Nella storia della Roma, nessun giocatore, da Amadei a Falcao, per parlare dei protagonisti dei due primi scudetti, aveva conquistato così totalmente il cuore dei tifosi autentici. Da ventiquattro anni dire Roma significa dire Totti e viceversa. L’amore della sua città è stato ripagato dal giocatore con una fedeltà totale, che ha comportato la rinuncia a un percorso professionale forse unico se non al mondo, certamente in Europa. Bene, quel giocatore non sembrava più rientrare nei piani di Spalletti. Era già maturo per quella dirigenza dorata che la Società gli aveva preparato. Ma lui, Totti, il Pupone, il Capitano, voleva giocare. Almeno una stagione ancora, per festeggiare sul campo di gioco i suoi quaranta anni. E francamente, anche la gran parte dei buongustai dello spettacolo calcistico, volevano apprezzarlo. Se il calcio è uno spettacolo, e sicuramente lo è, i responsabili sono obbligati ad impiegare i migliori protagonisti; in caso contrario, truffano gli spettatori paganti. Nella Roma Totti è un  magnifico interprete che dopo tanti anni da assoluto protagonista, ha dimostrato di potersi ritagliare per un buon quarto d’ora, un “cammeo” che proprio nel mondo dello spettacolo significa una parte non da protagonista, che per le doti dell’interprete diventa però di primissimo piano.
Questa sua dote gli ha consentito nell’ultimo campionato di giocare dei finali di partita che non è esagerato definire leggendari e che hanno consentito alla Roma di guadagnarsi nuovamente l’ accesso ai preliminari di Champions. Inoltre la standing ovation del Santiago Bernabeu all’ ingresso di Totti in campo nel finale dell’ultimo incontro col Real Madrid, è stata da brividi. Tutto ciò ha comportato il prolungamento per un altro anno del suo contratto. E si è pensato a un logico lieto fine della “grana Totti.”
Non è stato così. Nella sciagurata partita Roma-Porto che ha determinato l’ esclusione della Roma dalla fase a gironi, a un quarto d’ora dalla fine, in nove contro undici, i giallorossi erano ancora sotto di un solo gol.
Un quarto d’ora. Il Capitano si stava scaldando da parecchi minuti. Si pensava che sarebbe entrato per “quel” quarto d’ora che aveva illuminato le sue recenti comparse.
Spalletti gli preferì Iturbe e il punteggio finale fu di tre a zero per il Porto.
L’espressione di Totti all uscita dal campo era furiosa.
L’autolesionismo (e l’ingratitudine?) del Mister erano incomprensibili.
La successiva trasferta di campionato a Cagliari fu segnata da particolari inquietanti e probabilmente rivelatori. A Totti, si attribuì un risentimento alla caviglia “quella operata”, come precisò con una particolare sottolineatura Spalletti.
Ma un’altra decisione fu incredibile: De Rossi, il Capitan Futuro della squadra, il campione del Mondo 2006, l’attuale capocannoniere della Nazionale, venne degradato non per tradimento o codardia, bensì per essere stato espulso nella gara contro il Porto! La fascia di capitano passò all’altro romano, Florenzi, probabilmente frastornato da questa rivoluzione, oltre che dai variegati compiti di gioco, che gli comportavano continui cambiamenti di posizione in campo, fino a farlo entrare in confusione e commettere un errore che causò il pareggio dei padroni di casa.
I tre romani erano sistemati. Perché, quanto a Totti, c’era anche da riportare un giudizio tranchant di un importante personaggio del calcio, il procuratore Raiola, accreditato da voci di corridoio di essere stato intenzionato all’acquisto della Roma. “La prima cosa che farei, mi libererei di Totti” avrebbe proclamato, sempre a detta delle stessa fonti.
Prima di tirare le somme, torniamo alla figura di James Pallotta. Un americano, un oriundo. Ma soprattutto un bostoniano. È noto che gli abitanti di quella città – sicuramente eccellente per cultura e storia -considerano Boston l’ombelico del mondo e loro stessi partecipi della sua eccellenza. Il gap storico di quasi ventiquattro secoli (Boston è stata fondata nel 1630) per loro è irrilevante. Anzi, penalizzante per Roma. Troppo vecchia, troppo legata al passato. Bisognosa di un nuovo brand.
E poi… Boston è stata in lizza per l’aggiudicazione delle Olimpiadi 2024, prima di ritirare la sua candidatura. Sicuramente successi sportivi ma soprattutto uno stadio modernissimo sarebbero un grave handicap per gli statunitensi, che hanno ancora Los Angeles come candidata.
E allora…
Depuriamo l’AS Roma del DNA romano. Facciamone una succursale bostoniana, quindi comunque statunitense. Leggenda metropolitana?
Forse. Ma un grande politico, guarda caso romano e romanista, coniò il famoso detto: “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina.”
Anche se il primo peccato è quello di eliminare i protagonisti.

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Pier Francesco Pompei

Pier Francesco Pompei

Nato a Roma, il 3 aprile 1934. Ha svolto amatorialmente l’attività di allenatore di calcio, un’esperienza che ha narrato in “Calcio d’ addio” ottenendo il Premio Selezione Bancarella sport nel 2009. Ha strutturato il cricket italiano, come Presidente della relativa Associazione, poi divenuta Federazione ed attualmente associata al CONI. È giocatore di Prima Categoria di bridge e coautore dell’Almanacco del Bridge Italiano. Ha gestito una galleria d’ arte e attualmente svolge l’attività di esperto di Arte Moderna e Contemporanea.

8 risposte su “Inchiesta #1 La deromanizzazione della Roma (Pier Francesco Pompei)”

Articolo pertinente e pieno di acute intuizioni, da parte di uno “storico ” sportivo romano e super romanista!! Spero solo che NN tutti i suoi pensieri siano esatti, altrimenti rischieremmo di trovarci in un lungo tunnel… Capitolo Totti a parte, davvero nell’ultimo anno contro i detrattori storici e quelli in “famiglia” sta trasformando la sua carriera incredibile in qualcosa di epico!! Grazie capitano, sempre comunque!! E grazie Pier per queste parole che dovrebbero far suonare un campanello di pericolo….

Caro Piero ,non hai certo bisogno della mia approvazione in quanto vedendoci abitualmente a quattrocchi sai bene come io condivida il tuo pensiero. Però lasciami un po di speranza! ! E soprattutto riconosciamo qualche attenuante al bostoniano!!Come ho avuto modo di dirti a voce la Juve è riuscita a fare lo stadio in 3 mesi .Per noi tutto è più difficile e certe impasse burocratiche riescono impossibili da comprendersi soprattutto per un imprenditore americano. Al momento attuale la svolta può essere rappresentata solo dallo stadio perché cambierebbe tutto.Spera che tutto vada per il meglio perché se lasciano gli americani non so come va a finire .Io comunque già sono concentrato per Pilzen forza Roma

E’ facile parlare di Roma e parlare di Totti senza conoscerne il vero significato e la vera storia.
I luoghi comuni e le banalità sono all’ordine del giorno e noi Romanisti e quindi “Tottiani” sappiamo bene che è più facile far parlare chi di calcio fa solo la passione domenicale, senza ascoltare, e continuare a credere nella squadra e nel nostro capitano!
Quando capita di leggere un’analisi così perfettamente corretta e critica, allora sappiamo di avere a che fare con qualcuno che ha fatto della storia della Roma e di Totti una passione autentica, una persona da ascoltare e una persona con cui confrontarsi.
Totti è… Fin quando vorrà… la CONDITIO SINE QUA NON… È questo non si discute.
Olimpiadi 2024…sradicazione dell’IO romano alla squadra? Da romana romanista Tottiana vorrei sperare di no…..

Tutto giusto, a cominciare da Totti. Un Pallotta in più o in meno non fa tutta questa differenza, anche se sarebbe meglio essere in mano ai cinesi, quelli almeno spendono, anche se male. Quanto alla deromanizzazione, io mi accontenterei di una minore deitalianizzazione, ma i calciatori italiani ormai stanno sparendo e quelli bravi per farsi largo devono andare all’estero. Povero calcio. O calcio povero, fate voi.

Analisi perfetta che si può allargare alla politica del mercato: il campionato è pieno di giovani romani talentuosi che sono stati mandati in giro per l’Italia

Anco, 14/9/2016 at 16,30
Hai centrato e denunciato, giustamente, il problema. Ricordiamo, a noi stessi e a tutti, per dimostrare lo stretto rapporto che esiste tra Roma e la Roma, che, per statuto, i colori della A.S.Roma sono i colori di Roma, del suo gonfalone e cioè il rosso amaranto e l’oro. Auguriamoci quindi che sul petto dei nostri giocatori appaia sempre lo scudetto storico con la lupa, sopra, e……Roma, sotto. Non ho niente da dire in merito al lupetto stilizzato della Roma; ma vederlo, due o tre partite fa sulle maglie bianche invece dello scudetto, mi ha dato molto fastidio.

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