Lo sviluppo del “Gallo” Belotti, che partito da Albinoleffe è finito in Nazionale, la dice lunga sul ruolo virtuoso che potrebbe svolgere la terza serie nel panorama calcistico italiano. Uso il condizionale perché in realtà tali potenzialità vengono limitate dalla gestione miope delle società che vivono nel terrore di non arrivare a fine mese. Non potendo contare su diritti televisivi importanti e su incassi faraonici, dormono con la calcolatrice sotto il cuscino per far quadrare il bilancio, uccidendo così i sogni che solitamente alimentano lo sport. Le società di Lega Pro per sopravvivere hanno accettato dietro compenso, lo sviluppo dei giovani della serie maggiore. Tali giocatori, se bravi, tornano al proprio club di appartenenza valorizzati, altrimenti smettono di giocare o quasi. Nel frattempo, per far spazio a questi dispensatori di risorse economiche, si mandano prematuramente i propri giovani a giocare nelle serie regionali, cercando di far altra cassa con le società dilettantistiche e senza aver valutato a fondo le potenzialità dei propri ragazzi.
Riassumiamo. Si ottengono: gli introiti dei giocatori che vengono inseriti nella rosa dietro compenso delle grandi squadre; i soldi dei prestiti alle società dilettantistiche; la riduzione dei costi del settore giovanile; i soldi delle quote di iscrizione alla scuola calcio e al settore giovanile. Non c’è alcun dubbio che nell’immediato questi atteggiamenti possano risolvere i problemi economici delle società.
Ma che cosa stiamo costruendo? Dov’è finita la proverbiale scuola italiana? Avevamo i migliori portieri del mondo, per non parlare dei difensori. Facevamo invidia a tutti. Questo “eldorado” veniva costruito in anni di fatica nei settori giovanili e sviluppato nelle serie minori. All’estero per anni hanno sostenuto che la fortuna della nostra serie A, stava nell’alto livello della terza serie che nessun altro Paese europeo poteva vantare. Adesso ci siamo ridotti a fare i conti economici che consentono di sopravvivere ma non di vivere. Sì, perché la vita vera e lo sport sono un’altra cosa. Lo sport non è solo programmazione ma anche rischio, ebrezza, scommettere sull’impossibile sperando che si avveri. È credere in un sogno e realizzarlo unendo le palpitazioni di tutti gli appassionati che ci credono. Accanto alla routine quotidiana fatta di mutui da pagare, cartellini da timbrare, rate da smaltire e via dicendo, esiste lo sport che, se vissuto con entusiasmo, è in grado di proiettarci in una dimensione gioiosa. Se anche lo sport diventa solo calcolo, chiusura, paura, speculazione allora la differenza dov’è? Oggi una società di Lega Pro che cominciasse ad investire seriamente su un progetto tecnico dalle basi, per poi lanciare i propri giovani nella sua prima squadra, ridarebbe speranza ad un calcio diventato calcolatrice e conti economici e nient’altro. Se ci fossero ancora dubbi, ripensate per un attimo a Inter – Udinese dello scorso anno… ventidue stranieri in campo. È questo quello che vogliamo? Per ogni straniero che rinforza il nostro calcio, ne arrivano quattro che valgono i nostri. Allora che senso ha? Forse il senso c’è, ma non ha nulla a che fare con il calcio giocato sul terreno di gioco.
Alfredo Sebastiani
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