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Euro2016 #3 – INTERVISTA A GINO FRANCHETTI

imagesGino Franchetti, decano del giornalismo sportivo, ha iniziato ad occuparsi della Nazionale italiana nel 1966. Ha lavorato alla Gazzetta dello Sport, a Stadio, al Giorno, al Corriere della Sera. Nel 2014 ha pubblicato con noi “Il calciatore stanco”, uscito come terzo libro del nostro catalogo.

Abbiamo visto giocare una partite di tutte le squadre di questo Europeo. Chi ti ha colpito maggiormente ? Chi ti ha invece deluso?

La vera sorpresa di questo primo giro di valzer europeo del pallone? Per me il portiere ungherese, col suo fisico da pensionato e i pantaloni di una tuta anni 50 forse ereditata dal nonno. Scherzi a parte, il derby danubiano ha offerto l’ennesima riprova di una caratteristica diffusa in questa competizione: le squadre che hanno nelle loro file campioni affermati o presunti tali faticano molto o addirittura perdono contro avversari anche modesti che sfruttano meglio il gioco collettivo. Per una volta anche la nostra Italia pallonara non ha avuto il suo punto di forza nel contropiede, ma nella collaborazione assidua e nello spirito di sacrificio degli uomini in campo: il difetto degli azzurri semmai è stato nella precipitazione (o nella troppa sicurezza?) che ha fatto loro sbagliare alcuni passaggi a centrocampo creando situazioni di pericolo. Ora non bisogna illudersi: se vogliamo vincere ancora dobbiamo continuare a correre.  In generale le sorprese positive sono venute da squadre non favorite alla vigilia come la nostra: l’Islanda contro un deludente Ronaldo, l’Irlanda post-Trapattoni contro la Svezia di un Ibrahimovic quasi mai visto, la Russia contro un’Inghilterra troppo sicura di sé e perfino le sconfitte Romania (beffata da un grande, lui sì, Payet), Ucraina (più bella di una Germania con Ozil, Goetze e Muller fuori fase) e Repubblica Ceca (contro la Spagna dei migliori d’Europa). Perfetta sintonia con quello che sta accadendo al di là dell’oceano: Brasile ridicolizzato dal Perù, incredibile!

Sei molto legato alla Francia, il sud lo frequenti regolarmente, che situazione sta vivendo ora il paese e che idea ti sei fatto degli scontri tra tifosi a Marsiglia?

A me personalmente non è mai capitato di assistere a incidenti fra tifosi o pseudotifosi negli stadi del Sud della Francia, né a Nizza, dove vado di tanto in tanto, né a Marsiglia o a Montpellier o a Nimes o nel Principato di Monaco. Soltanto in occasione della finale Francia-Italia al Mondiale 2006 eravamo stati invitati alla prudenza da amici che avevano notato una certa sovraeccitazione fra i giovani tifosi francesi e temevano danni alle auto con targa italiana. Ma, nonostante la testata di Zidane a Materazzi, non c’erano state conseguenze. In questo Europeo la Francia è stata colta di sorpresa: si preoccupava di possibili terroristi e si è trovata a dover fronteggiare i teppisti degli stadi. Ho letto un post di Sabrina Gandolfi (Rai) in cui si accennava alla possibilità non remota che con le maglie del Paris St. Germain a provocare incidenti (ma che motivo avevano?) ci fossero invece i soliti Black Block, che si presentano ovunque possano mettersi in… evidenza. Non so poi se la polizia francese fosse stata informata o no della simpatica coincidenza fra l’inizio degli Europei e la fine del bando agli hooligans britannici: magari sarebbe stato il caso di tenerne conto, da una parte e dall’altra della Manica.

Da inviato ha fatto tanti Europei. Quello del 1980 appena dopo il totonero, che tu hai raccontato magistralmente ne “Il calciatore stanco“, come l’hai vissuto? Lo scandalo nel campionato italiano ha influenzato poi per certi aspetti anche la competizione europea?

Nel 1980 la Nazionale italiana aveva il teorico vantaggio di giocare in casa: va ricordato che ne aveva approfittato nel 1968 per vincere a scapito della Jugoslavia la sua unica Coppa Henri Delaunay. Ma aveva indubbiamente l’handicap dello sconquasso provocato dal calcioscommesse. Se l’umiliazione subìta da tutto il nostro calcio poteva in un certo senso accentuare il desiderio di riscatto (Bearzot era solito dire che “gli italiani hanno bisogno di essere prima bastonati, per poter poi dare il meglio di sé”, nella guerra come nello sport), era chiaro che una squadra azzurra senza Paolo Rossi veniva a perdere buona parte delle sue possibilità di successo. Anche il regolamento del torneo finale era poi penalizzante: la classifica dei due gironi indicava le quattro finaliste, senza bisogno di semifinali, e le seconde giocavano per il terzo posto. Fu così che l’Italia, a pari punti col Belgio, finì quarta perché battuta ai calci di rigore dall’ostica Cecoslovacchia. A proposito di Cecoslovacchia, vi racconto la curiosa esperienza personale dell’Europeo ’76. Ero l’inviato di “Stadio” e l’amico Adalberto Bortolotti, che mi pare fosse allora vicedirettore, mi aveva raccomandato di trasmettere i servizi in contemporanea con la fine delle partite, per non mandare in ritardo il giornale in edicola. Si trattava di tre partite: la semifinale Germania Ovest- Jugoslavia e le due finali. Ebbene, tutte e tre le partite si chiusero ai tempi supplementari e una persino ai calci di rigore, alla faccia della puntualità! Poi la Cecoslovacchia vincitrice fu causa per me di un insuccesso professionale. Dovevo come minimo intervistare il capitano Ondrus, ma quello parlava soltanto boemo e il mio taccuino rimase desolatamente in bianco.

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Redazione

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