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Coramini-Sivori, imponderabile e misterioso destino

C’è davvero un che di imponderabile e misterioso negli accadimenti umani. Così succede che uno dei protagonisti del mio “Campo per destinazione. 70 storie dell’altro calcio” sia Alberto Coramini, onesto difensore anni Sessanta anche nella Juventus operaia di Heriberto Herrera, allenatore che teorizzava il “movimiento movimiento” e l’assoluta uguaglianza tra  i calciatori in campo. Alberto Coramini è morto pochi giorni fa, il 17 febbraio: aveva 70 anni. Non può non stupire la coincidenza: se ne è andato esattamente dieci anni dopo Omar Sivori, el cabezon. Sì, il geniale ed estroso attaccante argentino – che proprio nella Juventus ha fatto sfracelli, prima di essere giubilato da Heriberto Herrera – è morto il 17 febbraio del 2005. Se avrete la bontà di (ri)leggere la storia di Alberto Coramini, così come l’ho proposta in “Campo per destinazione” – la trovate di seguito, gentile omaggio di Edizioni inContropiede -, capirete perché questa coincidenza di date assuma un significato tutto particolare. 

 

Alberto Coramini
Ad Alberto Coramini, classe 1944, padovano, terzino sinistro, è toccato di essere ricordato per una frase, più che per la sua carriera sul campo. Eppure, nel 1964, l’allora giovanissimo Coramini diventa, suo malgrado, protagonista davvero da prima pagina sportiva. E’ l’anno in cui la Juventus sceglie come allenatore il paraguayano Heriberto Herrera. Un sergente di ferro, un maoista del pallone, teorico del movimiento movimiento e di un gioco collettivo che lo porta a dire, appena arrivato a Torino: “Per me i giocatori sono tutti uguali, Coramini è come Sivori”. Succede un putiferio, i tifosi non la prendono bene e men che meno “el Cabezon”, il geniale ed estroso Omar, argentino dal talento immenso e assai poco incline alla disciplina, specie se imposta con i meto- di che non ammettevano repliche di HH2 (così era chiamato Heriberto Herrera, per distinguerlo dal più celebre Helenio, HH). Al sentirsi dire che Coramini conta come lui, Sivori non ci vede più. La rottura è inevitabile, lascia i bianconeri dove, in otto campionati, pupillo degli Agnelli, ha vinto tre scudetti e tre Coppe Italia. E, guardacaso, chiude la sua carriera italiana il primo dicembre del 1968, al San Paolo, contro la Juve. Partita durissima, con Sivori che scaraventa il pallone contro Heriberto, per poi venire coinvolto in una rissa colossale. E’ cacciato dal campo, rimedia sei giornate di squalifica, lancia accuse durissime al suo ex allenatore, raccontando di pugni e sedie rotte nello spogliatoio juventino, dove i metodi di HH2 avrebbero trovato anche oppositori. E il povero Coramini? In quel 1964, quando Heriberto lo mette sullo stesso piano di Sivori, non gioca neanche una partita (arriva a scendere in campo due volte in Coppa Italia…). Per un anno va in prestito al Potenza, serie B, poi torna alla Juve per due campionati. Nel 1967, l’anno dell’unico scudetto bianconero conquistato da HH2, gioca una partita. L’anno dopo (ben) undici. Stop. La carriera bianconera di Coramini finisce qui. Giocherà ancora nel Pisa: dalla A scende in serie C dove conclude la sua carriera con 4 stagioni nel Padova. C’è da pensare che nemmeno lui abbia gradito quell’improvvido paragone… (Carlo Martinelli)

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Redazione

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