“Conte in Inghilterra” sembra il titolo di una serie televisiva. Sono convinto che sarà ricca di colpi di scena. Peccato che non verremo a conoscenza dei dettagli più interessanti, visto che l’Antonio nazionale ci tiene giustamente molto ai segreti del suo spogliatoio. È sicuramente un leader, determinato e incisivo. Dove lavora lascia la sua impronta. Ha tutto del condottiero, passato da giocatore vero e la giusta gavetta che ognuno dovrebbe fare per acquisire il controllo razionale delle operazioni. Siena, Arezzo, Atalanta e Bari sono state un buon viatico prima dell’esperienza juventina, percorso che è mancato a tanti altri grandi ex campioni partiti troppo precocemente su panchine importanti.
Il “Gaffer” (come si dice “mister” in terra d’Albione) ha di fronte a sé una sfida importante. Deve ricostruire un ambiente che nell’ultimo anno sembra essersi sgretolato. Per la prima volta i Blues non parteciperanno alla Champions e molti uomini sono sul punto di partire. Eppure c’erano condottieri del calibro di Mourinho e Hiddink. La Premier negli ultimi anni ha potuto mettere sotto contratto i migliori campioni in circolazione, per il fascino che esercita, la disponibilità economica e le agevolazioni fiscali di cui gode. Per questo, molte società hanno comprato giocatori importanti senza una logica di squadra, ritrovandosi così tante individualità forti ma un collettivo inefficace.
Conte sembra l’uomo giusto per tutte le considerazioni fatte ed anche perché il calcio inglese, noto per la sua spregiudicatezza, ha bisogno di dettagli. Quando ero al Watford come assistente di Sannino, mi sono accorto di come i giocatori avessero uno spiccato senso del combattimento senza esclusione di colpi, anche in allenamento, ma poca propensione alla cura dei particolari. Posizione dei piedi sulle palle inattive, posizione del corpo nelle varie fasi di gioco, tempi di attesa e di pressione nella fase difensiva, insomma piccole sfumature che fanno la differenza. Per lo stesso motivo Capello era stato ingaggiato dalla nazionale inglese, ma i frutti non sono stati quelli sperati. Gli Inglesi non amano i ritiri e spesso non mangiano neanche insieme prima della partita, gli spogliatoi sono piccoli e angusti, anche negli stadi più recenti, e i giocatori nel prepartita si caricano con dosi massicce di musica rock.
C’è da dire che in Premier le rose sono ricche di giocatori stranieri portatori di tante culture diverse. Il Leicester di Ranieri invece, aveva un forte connotato anglosassone e il buon Claudio ha più volte dichiarato di aver dovuto limitare al minimo le nozioni tattiche. È stato bravo ed intelligente a dosare le sue conoscenze. Insomma ne vedremo delle belle perché il confronto tra culture diverse resta una delle sfide più belle e interessanti dei nostri tempi complessi e travagliati.
Alfredo Sebastiani
Redazione
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