Per noi SenzaBrera era lo chef, anzi il cuoco. “Il migliore di Lombardia” sentenziò il Gioann che ne illuminò la carriera facendo tracimare la sua fama ben oltre il Po e i confini lumbard. Mario Musoni, il Kammamuri, figlio d’arte del primo Kammamuri (soprannome di salgariana memoria) ci ha lasciati in una fredda mattina di gennaio. Viveva e operava a Stradella, nel suo Oltrepò, e aveva 68 anni, almeno 55 dei quali trascorsi ai fornelli.
Mario è stato davvero un grande della cucina italiana e il re indiscusso dei risotti. Si era fatto le ossa nei ristoranti più famosi del mondo come il Cala di Volpe nella Costa Smeralda dei tempi d’oro, il Palace di Saint Moritz e ancora al Grand Hotel Villa d’Este a Cernobbio, al top di Parigi lo Chez Maxim e – varcata la Manica – al Francis Hotel Bath Somerset di Bath, vicino a Bristol. Nei primi anni Ottanta tornò stabilmente in Oltrepò Pavese per aprire un ristorante tutto suo: il celeberrimo “Al Pino” di Montescano in Valle Versa. Fu proprio Musoni il primo cuoco della provincia di Pavia a ricevere una stella Michelin, in una terra che – per il solo borgo di San Zenone – ha dato i natali a qualcosa come una cinquantina di chef dai fratelli Fasani a Cesare Aldani, dai Ghisoni a Cassinari fino ai Marchesi e appunto Musoni padre e figlio. Per anni Mario ha anche insegnato alla Scuola internazionale di cucina italiana Alma di Colorno, di cui era testimonial nel mondo.
Il suo locale aveva un’atmosfera straordinaria e anche prezzi (ahimè) non proprio per tutte le tasche. Ma non c’è un risotto firmato Musoni che non sia stato un capolavoro. L’amico e sodale parmigiano Claudio Rinaldi – che nel cor mi sta – li ha snocciolati in un eccezionale coccodrillo sulla sua Gazzetta parmigiana. A proposito: sui piatti di Musoni non ci andava il celeberrimo formaggio da grattuggiare perchè erano troppo straripanti di Sapori e di Cultura.
Come giudichereste altrimenti un risotto cacio e pepe che riprendeva e superava i tonnarelli o bucatini romani o anche i “pici” toscani. Un piatto tosto e avvolgente frutto di una classe superiore, da fuoriclassse.
Un altro gioiello – imitato in ogni angolo della Terra – è stato il risotto allo spumante, nobile e cremoso. Ma c’era poi quello più popolare ai cunfanon, le erbe spontanee che crescono in primavera nei prati sabbiosi (come il santonego di barena nel Veneziano). Poi il più amato da Mario che lo chiamava “alla Gianni Brera”: era forse il più difficile con base di filetti di acciuga e un poco di cacao sopra (roba da far infuriare chef Vissani “allergico” al cacao).
C’era poi – così come alla Albereta del compaesano Gualtiero Marchesi – il risotto servito dalla casseruola placcata d’oro. Non un vezzo, attenzione: come spiegava Musoni «Non esiste un miglior conduttore di calore del metallo giallo». Ma c’era anche la tempura e poi – come ignorarlo – il filetto al Barbacarlo. Sì, proprio il “difficile”e rarissimo vino di Brera e del suo amico MagaLino: metà Croatina (un po’ meno della quota usata per la Bonarda) poi un terzo di Uva rara e un “pizzico” di Ughetta tutto rigorosamente di Broni, cuore d’Oltrepò, con marchio registrato ed esclusivo delle cantine Maga.
Il vero segreto per il risotto era il soffritto. O meglio il non soffritto. Lo aborrivi perchè lascia troppo sapore di cipolla; così come rifiutavi olio e burro, doveva essere lo stesso grasso che “avvolge” il chicco di riso e ovviamente un grande brodo a dare cremosità al risotto.
“Al Pino” con il GioannBrerafuCarlo era di casa anche “Lady Real” al secolo Erminia Moratti ma anche gli altri amici del Club del giovedì.
L’ultima apparizione di Mario in tv è stata nel documnentario di Paolo Mieli girato per Rai (“Brera, il libero della Bassa”): all’ostaria del Giugaton in Borgo Basso a Pavia c’è stata la tua ultima grande recita.
Ti sia lieve la terra, grandissimo Mario chef dei SenzaBrera.
Gigi Bignotti
Redazione
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Una risposta su “Addio a Mario Musoni, chef di Gianni Brera (di Gigi Bignotti)”
Ho visto il documentario su Brera di Paolo Mieli: un capolavoro. L’ho registrato per me e ogni tanto me lo guarderò. C’è ovviamente anche Mario Musoni di cui purtroppo non sapevo dell’esistenza, ma ora sicuramente almeno una volta andrò dove lui operava, sperando di trovare ancora sue tracce.
Bravi tutti.