“Signore, non ho mai venduto mio figlio e non lo farò per nessuna cifra al mondo.”
La cifra era di 20.000 lire, che in quel 1927 rappresentava un piccolo capitale, diciamo 40.000 euro di oggi, specie per quell’artigiano piemontese, trasferitosi a Roma, dove nella sua bottega di Borgo riparava bambole.
La sua drastica risposta era diretta a un emissario della Juventus, la potente (e ricca) società calcistica, che iniziava a gettare le basi per la sua futura egemonia.
Quell’artigiano era anche il padre di un calciatore così descritto nell’ Enciclopedia “Il pallone d oro”: “Lui, un po’ estroso, un po’ gigione nella vita, ma preciso, spettacolare e onnipresente in campo, diventò in fretta un personaggio. Aveva tra il pubblico un suo pubblico. Divertiva i compagni con battute, li affliggeva di scherzi, snobbava allenamenti e convenzioni, badando solo ad accentuare gli aspetti scanzonati del suo carattere. In partita si trasformava. Era una furia con talento vero ed un desiderio tutto segreto di migliorarsi. Viveva nel calcio e per il calcio. Un’intera aneddotica è fiorita intorno al suo estro e buonumore, all’apparente indifferenza. Ma di quanto fosse generoso, se ne accorsero perfino gli inglesi”
E fu quel 14 novembre 1934 a Londra, con Luisito Monti infortunato nei primi minuti di gioco, che Attilio Ferraris, perché di lui stiamo parlando, si guadagnò con i suoi compagni l’epiteto di “Leone di Highbury” per aver rimontato da 0-3 a 2-3 in inferiorità numerica la sfida calcistica contro i “Maestri” inglesi.
E qui è giusto riportare anche il giudizio che Vittorio Pozzo, nel suo “Campioni del Mondo” dà del giocatore. “Lo avevo trovato per caso. Sostituendo un compagno lesionato, Attilio era passato ad un certo momento, al centro della seconda linea e, nel fango alto, si era messo a sciabolare lunghi passaggi trasversali in avanti, rinunciando a finezze tecniche che il terreno avrebbe reso sterili od addirittura dannose. Quello era il tipo di giuoco, che, per la mia squadra, volevo io. Parlai al giuocatore subito, dopo l’incontro, lo presi per me come una manna piovuta dal cielo, e non lo mollai più. E non me ne pentii mai.” Queste parole del Commissario Unico, due volte campione del Mondo, hanno un valore aggiunto. Il C.U. non amava particolarmente i romani. La “rinuncia” (chiamiamola così, per carità di patria) al grandissimo Fulvio Bernardini, ne è una riprova. Fuffo era amico fraterno di Attilio, al punto che i due erano chiamati i “gemelli della Lupa”.
Attilio Ferraris, “ IV” cioè Quarto, perché della Fortitudo, squadra di calcio romana nella quale giocava, facevano parte anche i suoi tre fratelli maggiori, Paolo, Gino e Fausto. Tutti figli di Secondo Ferraris, già, Secondo di nome… (E se non bastasse, altri quattro fratelli, i Sansoni, facevano ugualmente parte della Fortitudo).
La Fortitudo era una società fondata da un religioso, Frà Damaso Cerquetti e condotta brillantemente da Fratel Porfirio Ciprari, figura ben nota nell’ambiente calcistico di quegli anni. Proprio contro la Fortitudo aveva esordito Fulvio Bernardini, giocando nella Lazio… in porta, ad appena quattordici anni.
I due “Romani de Roma” si sarebbero incontrati e scontrati moltissime altre volte, prima e dopo aver giocato insieme nella Roma. E i due “gemelli della Lupa” avranno in comune questo altro particolare: entrambi hanno vestito la maglia della Lazio.
L’abbandono della Roma da parte del “Biondino di Borgo Pio” – quello era il nomignolo di Ferraris IV- fu considerato da molti un tradimento, ma le cronache sono ambigue al riguardo, parlando di “motivi disciplinari” o di “ipnotismo subìto dai colori laziali”. In effetti, il passaggio dalla Roma alla Lazio avvenne subito dopo la vittoria del Mondiale 1934 e fruttò alla società giallorossa 150.000 lire. E c’è da credere che la Roma volesse liberarsi di un giocatore scomodo, non più ai livelli di rendimento degli anni precedenti, ma soprattutto difficile da gestire.
Vittorio Pozzo attribuiva quel calo di rendimento di Attilio non all’ età, bensì alla vita che conduceva. Tanto che alla vigilia dei Mondiali del 1934, preoccupato di avere il solo Luisito Monti per il ruolo di centromediano, si recò a Roma per parlare con Attilio.
Il colloquio fu il seguente, come riportato dal C.U.
”Lei crede che io ce la possa fare ancora?”
“Se tu fai quello che ti dico io, certamente.”
“Guardi che io fumo trenta o quaranta sigarette al giorno.”
“Le diminuirai gradatamente.”
“Proviamo.”
“Proviamo.”
E vinsero entrambi.
Sta di fatto che i due campionati giocati con gli odiati cugini, non hanno poi intaccato più di tanto il “romanismo” di Attilio, considerato un’autentica icona giallorossa.
Il 18 settembre 1938, dopo due anni al Bari, Ferraris IV torna a vestire di nuovo la maglia della Roma, sempre nel glorioso campo Testaccio, contribuendo alla vittoria per 1 a 0 sul Milano (la o finale necessaria a italianizzare il nome della compagine meneghina) e ritrovando il vecchio amico Bernardini. Due settimane dopo, ancora una vittoria per 1 a 0 sulla Juventus, successivamente una vittoria per 1 a 0 a Torino, contro i padroni di casa. Poi dopo il pareggio in casa con il Napoli, 2 a 2, salta la sconfitta contro la Lazio in casa, e il 6 aprile dà l’ addio a Campo Testaccio, con la vittoria sulla Triestina per 3 a 1 negli ottavi di finale di Coppa Italia. Infine il 21 aprile 1939 gioca l’ultima partita a Livorno con la sua Roma, sconfitta per 3 a 1. Un totale di 231 gare di cui 210 in Seria A, segnando un gol su rigore contro la Fiorentina..
L anno dopo andò a giocare in serie B al Catania disputando 15 partite.
Il 9 giugno del 1940, pareggio in casa 0 a 0 con la Pro Vercelli, giocò la sua ultima partita di categoria.
Nel 1945, in attesa che il calcio nazionale si riorganizzasse, Ferraris IV giocò con l’Elettronica nel Campionato Romano, contro la Roma e contro Bernardini che giocava con la Mater.
Sul rapporto dei due romani, Lino Cascioli racconta un gustoso episodio.
Nel famoso 5 a 0 inflitto dalla Roma alla Juventus, il 15 marzo 1931, il clima particolarmente acceso costrinse l’arbitro Carraro ad espellere Ferraris IV e Cesarini, che si stavano picchiando, con Bernardini che era intervenuto per separarli. Uscendo dal campo, Ferraris IV gridò al compagno di squadra “A Fuffo che fai? Je meni tu pé me?”
E dire che proprio a Cesarini Attilio aveva salvato la vita due mesi prima a Bologna, quando l’argentino per fare lo sbruffone, si era tuffato nella piscina dello stadio dal trampolino più alto, riemergendo boccheggiante. Attilio si rese conto che stava per affogare e lo trasse fuori dall’ acqua.
L’ 8 maggio 1947 Attilio Ferraris IV ebbe un arresto cardiaco durante una partita di calcio tra ex giovani a Montecatini. Probabilmente quella era la fine che si sarebbe augurato, lui che nel calcio e di calcio aveva sempre vissuto.
C’ è poco da dire e pochissimo da fare. Chi è un vero romano, nasce e vive nel mito dei gladiatori e sogna di essere uno di loro.
E Attilio lo fu.
Non per nulla divenne campione del mondo nella sua Roma.
Gladiatore lo era divenuto il 21 novembre del 1934, nell’arena di Highbury. In quell’ incontro che fece scrivere al grande Stanley Matthews, primo Pallone d’oro della storia, nell’autobiografia “Feet first again” “Quando l’arbitro fischiò la fine, tirai un sospiro di sollievo.”
Grande Attilio.
Pier Francesco Pompei
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