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ARGENTINA, LA DELUSIONE E’ SAMPAOLI. PIU’ DI MESSI

La più grande delusione della prima settimana mondiale è sicuramente l’Argentina. Messi, dopo la serie tremenda di secondi posti (Mondiale 2014, Coppa America 2016 e 2017), rischia di abbandonare la scena con larghissimo anticipo. Ma la semplificazione secondo la quale Messi non vale Maradona va rifiutata, per la ragione evidente che il ct Sampaoli non si è rivelato all’altezza del compito. Quando guidava il Cile, mostrava chiarezza di idee nelle scelte degli uomini e nel gioco. Difatti, la squadra esibiva un calcio pratico, senza rinunciare ai colpi ad effetto di Sanchez e di altri fantasisti, un calcio coerente con il progetto iniziale. Al contrario, niente di tutto questo si può notare nell’Argentina: ritmi lentissimi, dettati addirittura nella sfida d’esordio dalla coppa di centrocampo Biglia-Mascherano, palla a Messi troppo tardi, quando cioè il fuoriclasse era già accerchiato da almeno due avversari, spesso tre. Ai tempi di Maradona, il ct Bilardo teneva tutti indietro per servire il fenomeno del Napoli con la massima rapidità. Poi, certo, Diego inventava e concludeva da par sua.

Nell’Argentina attuale il possesso della palla non produce altro che portare troppa gente in avanti, con le conseguenze che ogni contropiede subito può essere letale e soprattutto che Messi finisce stritolato puntualmente dai difensori. Che poi il barcellonista abbia anche fallito un calcio di rigore decisivo contro gli islandesi serve a buttare sale sulla ferita, ma la sostanza non cambia. Era ed è sbagliata l’idea di Sampaoli, oltretutto responsabile di aver convocato troppi compimari, probabilmente per compiacere Messi.

Attaccanti come Meza, difensori come Mercado, Otamendi e Tagliafico, centrocampisti come Acuna, per tacere dell’improponibile portiere Caballero, non sono in linea con la tradizione dell’albiceleste, né con la sua storia di grandissimi solisti (da Sivori a Kempes, da Houseman a Veron) sostenuti alle spalle da lottatori irriducibili. Qui,invece, la maggior parte della squadra era dedita alle caviglie dei rivali e alle proteste con gli arbitri. Oltre a qualche parola di disprezzo verso altri compagni. Un disastro totale che, comunque finisca il Mondiale, segnerà la fine dell’avventura in nazionale per almeno una decina di protagonisti. A cominciare da Sampaoli, al quale consiglierei anche di eliminare quei tatuaggi così vistosi, dal momento che il calcio è anche estetica, non solo tattica, tecnica e cuore. Tatuaggi che, ad occhio, non sembrano neppure dei portafortuna.

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Enzo D'Orsi

Enzo D'Orsi

classe 1953, ha seguito la Juventus per 21 stagioni per il Corriere dello Sport. Dal 1979 al 2000. Quattro Mondiali e cinque Europei da inviato. Più di 250 partite di coppe europee. Migliaia tra tutti i campionati. Ha lavorato anche a Paese Sera e Leggo, oltre ad una parentesi al settimanale Rigore. Simpatizza per il Manchester United dai tempi di Bobby Charlton, il suo primo idolo. Adora il calcio inglese, l'Umbria e Parigi. Sposato. Tre figli. Quattro nipoti. Si considera fortunatissimo: fin da bambino, voleva fare soltanto il giornalista.

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