Colpa di Mattheus. Tutta colpa sua. Oggi Mattheus ha ventidue anni. Quando è nato – nell’estate del 1994 – suo padre stava lavorando. Era in America, perché lì si stavano disputando i Mondiali di calcio. Bebeto, si chiama suo padre. Attaccante-mignon, nazionale verdeoro, punto di forza del Brasile che quell’anno vincerà – ahinoi – la finale contro gli azzurri di Sacchi.
Nella foto Bebeto è quello al centro. Alla sua destra c’è Mazinho, che da noi giocherà con le maglie di Lecce e Fiorentina; alla sua sinistra c’è Romario, O’Baixinho, il Nanerottolo, una biscia velenosa con pochi pari al mondo. Ridono, felici. Sono brasiliani, gli viene facile. Il Brasile ha appena segnato, Bebeto è stato l’autore del gol. L’attaccante pensa ad una cosa, forse se l’è preparata, forse no, non importa. Qui non sono importanti le cause, ma le conseguenze. Bebeto segna, corre e fa il gesto della culla, poi si ferma, viene raggiunto dai due compagni di squadra: eccola la foto. Si festeggia la nascita di Mattheus, il terzogenito di Josè Roberto Gama de Oliveira in arte Bebeto, nato da poche ore. Il campione ha ricevuto la notizia in ritiro, dove si trovava per preparare la sfida – un quarto di finale – contro l’Olanda.
Il tempo è passato. Bebeto si è dato alla carriera politica, suo figlio Mattheus fa il calciatore, gioca in Portogallo, è in forza all’Estoril Praia. Il gesto della culla – da quel giorno – è stato copiato e replicato in tutto il mondo. All’epoca sembrò un’esultanza bizzarra. Se pensate a come esultano i calciatori oggi, quella di Bebeto fu una cosa sobria, sincera, persino pudica nei modi, nei sorrisi trattenuti e nelle mani giunte e rivolte verso l’alto, ad accogliere una nuova vita.

Furio Zara
